Eccomi di nuovo, alle prese con la fotografia analogica per una serie di immagini scattate in un ambiente non sempre facile da raccontare: la periferia di una città, tutto sommato ancora abbastanza provinciale, come Verona. Questo ambiente di confine, che separa l'agglomerato urbano dalla campagna, alterna piccole aree, in cui sono presenti realtà produttive con un look moderno che rimanda alla "Silicon Valley", a vaste zone con vecchie strutture, spesso semiabbandonate. Nel corso dei decenni il nascere e il morire delle attività commerciali e industriali è stato il termometro dell'andamento economico del territorio. Come una lenta marea, l'avanzare e il ritirarsi della natura incolta, ha creato un mosaico in cui ogni tessera è un microcosmo a sé, immobile e apparentemente senza tempo, almeno fino alla prossima mossa delle ruspe!
Esplorando questi territori con una fotocamera appesa al collo, tra sterpaglie, capannoni abbandonati, fabbriche in funzione e binari morti, le possibilità fotografiche sono molte ma non facili da cogliere. Bisogna avere uno sguardo allenato e sensibile. Il Fotografo, quando si trova ad attraversare un qualsiasi luogo, nota sempre, anche inconsciamente, la luce, le ombre, le linee, le situazioni e le coincidenze che gli suggeriscono spunti fotografici, è come se fotografasse sempre con gli occhi condividendo le immagini con cuore, spirito e mente. Anche nella mio piccolo vivo questa esperienza: le foto che ho scattato fisicamente, tra digitale e analogico, seriale e artistico, sono decine di migliaia. Ma infinitamente di più sono quelle che ho registrato solo dentro di me e che cerco di far emergere quando effettivamente scatto su pellicola o sensore. Ecco quindi che una foto non è solo rappresentativa di quel soggetto momentaneo, ma un connubio tra la realtà e lo sguardo interiore del fotografo.
Così vissuta, la fotografia diventa una cosa molto personale, meritando l'appellativo di arte. Infatti ogni fotografo riprodurrà lo stesso paesaggio con esiti molto diversi, nonostante l'idea comune di una certa meccanicità del processo fotografico. In questo genere, ma un po' in tutta la fotografia, bisogna rifuggire dalla tentazione di copiare, o di ispirarsi troppo, allo stile di altri o di allinearsi alle mode del momento, come ad esempio un certo gusto nell'immortalare lo sfacelo dei luoghi abbandonati, esaltandolo in post-produzione, un gusto che sembra imperare in questi tempi.
Cerchiamo di percorrere invece la via stretta: troviamo lo straordinario dove non lo vede nessuno, mettiamo insieme soggetto, luce, composizione e momento per fare delle foto uniche nella loro apparente normalità; creiamoci un linguaggio nostro. Se qualcuno ci dice "il tuo stile mi ricorda quello di Gabriele Basilico" non prendiamolo come un complimento ma come un un buon punto di partenza...
Per questa serie di immagini ho rispolverato la vecchia Pentax ME super reflex analogica 35mm, con obbiettivi Pentax SMC 28mm f/2.8 e Pentax 50mm f/1.4. Pellicola Kodacolor 200. Negativo digitalizzato con Nikon Super cool-scan 4000ED.